Sogni in movimento

Gavina Ciusa

Sogni in movimento

mostra di Giampaolo Atzeni

battute 3.744

Dida 1. Capo Orso, 2003, acrilico su tela cm100x100 (TRA I DUE MEGLIO QUESTO)

Dida 2. Partenze, 2002, acrilico su tela cm80x100

Del dipinto riprodotto in locandina mi ha colpito il colore e, prima ancora, lo sfondo: Capo Orso. La tela richiama Valerio Adami. Non sapevo avesse dipinto la Sardegna. Così osservo meglio. L’espressione è meno spigolosa, più dolce. Solo citazioni. Visito la mostra accolta nelle sale del Palazzo del Senato (Archivio di Stato di Milano, fino al 30 giugno). Scopro che l’artista è nato a Cagliari, si chiama Giampaolo Atzeni, insegue con abilità da scenografo “Sogni in movimento”. Viaggi, memoria, allegorie imprigionati in venti tele. Respiro universale, spazio altro da quello intimo di partenza;  tempo altro da cui ogni isolano è posseduto. Un oltre che modula il proprio essere servendosi di ogni mezzo di trasporto. Che finalmente percorre una delle tante strade, troppo spesso disattese, che gli artisti fondatori dell’arte moderna in Sardegna avevano indicato con proiezioni nel futuro. E mi dolgo di non poterne in poco spazio seguire l’evoluzione sino al confronto di oggi, che pare uno degli sbocchi possibili.

Del legame con la terra Atzeni si porta dietro la tradizione del colore. Reinventa, senza indulgere in aride nostalgie, un singolare decorativismo che è poi aspirazione al rigore. In una sinergia di reale e di onirico,  tiene il contraddittorio desiderio di distacco e di ritorno in equilibrio tra identità e sempre nuovi strumenti di ricerca e ispirazione. Aggiornamenti incessanti che dal 1973 transitano con lui prima a Londra, dove vive per un anno e compie i primi passi nella grafica e nella fotografia, poi a Firenze, dove frequenta la Facoltà di Architettura e fa parte del gruppo internazionale del Terzo teatro e del laboratorio “Domus de Janas”, (si chiama così anche se i sardi sono solo due, lui attore e Pier Franco Zappareddu registra). Esperienze importanti, ancora pretesto per lunghi viaggi in Europa ai quali se ne aggiungeranno altri, in giro per il mondo, collaboratore di giornali, raccoglitore di appunti fotografici, manipolatore di un obiettivo che sa come scavare la realtà. Curiosità sentimentali e intellettuali fecondate da un singolare cucchiaino con il manico guizzante, codice originario e cellula germinale agente qua e là nelle tele, abbandonato con nonchalance tra gli oggetti rituali del the con te.

Negli acrilici di Atzeni il femminile assume inquietanti connotazioni. Talvolta flash su labbra, cuori, gambe, scarpe con tacco, seni morbidi come dolci e dolci morbidi come seni; altre metamorfosi del nudo in chitarra, viola, lira, o nudi. Sempre con un taglio che elimina gli occhi. Anche nelle donne con valigie al seguito, vaganti tra rappresentazioni visionarie dove convivono cammelli, piramidi, piccole icone della Gioconda, tori infilzati da banderillas, banane, fiori, serpenti, pesci, tigri, cavalli, fenicotteri rosa, palme, piramidi, fichi d’india, architetture d’Oriente,  simboli e monumenti nuragici, Bilbao, Babilonia, Nirvana. Tutto nel divenire incessante incorniciato da oblò di navi e finestrini di treni in movimento. Ai lati di uno di questi, all’interno del vagone ferroviario del primo dei dipinti che ha attratto l’attenzione, due poltrone si affrontano. In una gambe femminili accavallate. Nell’altra il vuoto diviene forte affermazione di presenza di chi se ne allontana un attimo, osservatore di un luogo improbabile dove la teiera sul tavolino perde ovvietà per quel becco che si allunga nell’aria, tentacolo tattile originario del mare che scorre all’esterno. Mare simbolo di imprevisto, insinuante nell’arcaico roccioso di “Capo Orso”, a rivisitare e a ritoccare meandri mentali scavati dal tempo e dalla tempesta. Appunto “Sogni in Movimento”, evoluzione insistente. Avventura della psiche che eccede l’apparente sotto un cielo metafisicamente giallo.