Comunicato stampa mostra “Omaggio al tennis”
Dal 3 al 16 maggio, in occasione degli Internazionali d’Italia di Tennis, si terrà al Foro Italico di Roma una mostra che vuol essere un omaggio a questo sport e ai suoi campioni. Nell’ambito della rassegna un’ampia sala è destinata all’esposizione di un ristretto numero di opere appositamente realizzate da alcuni noti maestri come Lucio Del Pezzo, Marco Lodola, Ugo Nespolo, Concetto Pozzati e da altri autori di riconosciuto valore come Giampaolo Atzeni, Piersandro Coelli, Paolo Delle Monache, Walter Di Giusto, Riccardo Gusmaroli, Antonella Mazzoni, Nicola Perucca, Davide Ragazzi. Ogni artista si è sentito ovviamente libero di formulare un’immagine del tennis che rispondesse alle personali peculiarità espressive e nel contempo fornisse una “lettura” diversa, meno formale, di tale sport.
La rassegna, realizzata grazie al contributo dell’Istituto per il Credito Sportivo, gode del patrocinio del Ministero dei Beni Culturali e della Presidenza del Consiglio dei Ministri ed è accompagnata da un catalogo ( Riccardo Viola Editore di Roma ) curato da Luciano Caprile
G I A M P A O L O A T Z E N I
Pezzo per ArteIn Dicembre 2003 Gennaio 2004
PICTOR LUDENS
di Janus. – Ironica, lirica, ludica: questi aggettivi definiscono i tre momenti quasi obbligati che la pittura di Giampaolo Atzeni frequenta e percorre, ora con innocenza, ora con un tocco di malizia, ora con un arabesco di raffinata eleganza, sono il segno d’una fiabesca architettura di interni, la riscoperta o la ricostituzione di un’intima alcova senza peccato, sono gli atti unici d’una commedia sofisticata sugli incontri inaspettati o paradossali della vita. Si tratta d’una pittura fatta di allusioni, dai colori caldi e sensuali, sembra che suggerisca sempre avvenimenti che si svolgono in una dimensione un po’ remota, astratta, aerea. Gli oggetti, le forme, le figure umane si trovano immersi in una atmosfera irreale, pur avendo una loro concretezza materiale. La sua pittura dice cose bizzarre e stravaganti con un sorriso e sorride davanti ai piccoli enigmi della vita. È una pittura che propone indovinelli, forse perfino qualche gioco di prestigio ottico, che racconta storie bizarre, imprevedibili, inconsuete, come se Atzeni vedesse la vita attraverso uno specchio magico, dall’alto d’una specola, o dietro un arazzo che un poco lo nasconde ed un poco lo svela, poiché il pittore ama gli avvenimenti estrosi, le feste ed i travestimenti, gli oggetti che si trasformano in altri oggetti, le donne che si trasformano in strumenti musicali, i mobili che diventano esseri umani, le scatole che nascondono, forse, fantasmi, le camere che non sono camere, ma l’anticamera d’un mondo immaginario. Ama l’idea del viaggio misterioso in paesi esotici (tutta la seria dedicata in questi ultimi anni, per esempio, all’Orient Express, di suggestiva malinconia), le donne serpente, i cappellini bizzarri, i treni che per natura sono sempre metafisici, i felini, le isole che galleggiano in mezzo al mare come vascelli, gli oblò che catturano squarci di vita sconosciuta. C’è nella sua pittura spesso una finestra che si apre verso l’ignoto.
Atzeni fa un poco pensare a quei prestigiatori che dal cappello a cilindri fanno uscire sciarpe colorate o conigli ed un poco anche a quei negromanti che dall’interno del loro cerchio magico sono capaci di suscitare odalische o addirittura palazzi tutti d’oro, e non è agevole comprendere se tutto questo è reale o immaginario, a meno che non sia proprio uno di quei personaggi delle Mille e Una Notte che svolazzano sulla cima dei minareti, su un tappeto volante, che è naturalmente intessuto come un arazzo raro e prezioso uscito da un vecchio laboratorio persiano.
Si tratta di eventi tutti possibili in questa pittura che ama raccontare le scene d’un balletto orientale ed esotico, che rievoca con leggiadria e perfino con una punta di sensualità il ricordo forse di antichi incontri tra una bambola ed una donna, tra un televisore ed un pesce, tra una bocca che esce da un muro e lo strascico d’una veste femminile, tra una scacchiera ed una banana, che è sempre un po’ in bilico tra il presente ed il passato, tra il sorriso e la malizia, come se a raccontare queste storie, dietro il pittore, vi fosse un poco anche un narratore, e la sua pittura insinua, suggerisce, evoca, vuole un poco sedurre. Ma facciamo tutti parte di un’epoca che ha letto le stravaganti storie di Bontempelli, le ironiche storie di Manganelli, le fantastiche storie di Calvino. Siamo diventati anche un po’ irriverenti, ma in Atzeni c’è un tocco che fa pensare al Buzzati scrittore e soprattutto al Buzzati pittore, con meno drammaticità, con meno crudeltà, forse, ma con una specie di soave abbandono. Sono gli effetti ulteriori d’un grande fenomeno estetico che ha attraversato un po’ ad occhi chiusi tutto il secolo XX e che prende il nome di Metafisica, di cui tutti parlano come d’un oggetto misterioso e del quale hanno anche un po’ paura, ma ha seminato intorno a sé un’enorme piantagione, è stata raccolta da molti nobili artisti ed anche nella pittura di Atzeni ha lasciato le sue visibili tracce.
La Metafisica è stato uno dei momenti più alti e più originali della cultura italiana, un momento forse perfino anomalo, imprevedibile, un momento che sembra non appartenere molto alla tradizione artistica italiana del Novecento, e se non ci fosse stato, a mezza strada, quel grandissimo ed intelligentissimo scrittore che era Bontempelli probabilmente avrebbe avuto molta più difficoltà a farsi comprendere in Italia. All’estero è stata tutta un’altra cosa, c’è stato anche il Surrealismo che è dilagato in tutto il mondo, ma la Metafisica con il passare del tempo ha lanciato continui sprazzi di luce e si è insinuata nel tessuto della pittura italiana come se fosse stata la sua seconda coscienza. Non è stato possibile estirparla, anche se non sono mancati rudi tentativi in questa direzione. Forse lo stesso de Chirico ne ha sentito la sofferenza, se poi ha cercato altre interpretazioni pittoriche. Si tratta d’un argomento molto delicato e complesso e mi pare lodevole che all’inizio del terzo millennio sia stato ripreso, per esempio, anche da un grande esposizione in corso a Roma, alle Scuderie del Quirinale, intitolata semplicemente Metafisica, a cura di Ester Coen, dove il tentativo è proprio quello di fare vedere le variazioni e le ramificazioni della Metafisica anche in altri territori, ma ovviamente l’analisi meriterebbe d’essere ampliata, da Fabrizio Clerici a Sergio Vacchi, da Stanislao Lepri a Giannetto Fieschi, da Gaetano Pompa a Gustavo Foppiani, solo per citare alcuni grandi artisti del Novecento che sono stati certamente toccati da questo fenomeno. Il fascino misterioso della Metafisica è pasata anche attraverso la pittura di Atzeni, a distanza di quasi cento anni ormai, con un occhio diverso, naturalmente, con una sensibilità diversa, con un senso più edonistico, con un gusto più vivace per la favola.
Ma vorrei fare anche un’altra osservazione. Sembra quasi che Atzeni quando dipinge un quadro voglia dirigere un film, che pensi, per esempio, ad un film immaginario con Humphrey Bogart e Laurent Bacall oppure con Mike Douglas e Sharon Stone, ma direi perfino forse con un occhio di riguardo ad Arsenico e vecchi merletti. Forse questi quadri vanno visti proprio come le scene d’un film, c’è un po’ di Fellini ed un po’ di Walt Disney. Probabilmente Atzeni ama divertirsi, che è una delle funzioni essenziali dell’arte, ama raccontare nello stesso tempo verità e bugie, verità che fanno un po’ male e bugie che fanno un po’ bene, che si ricordi perfino della Pop Art, ma siamo in un periodo storico di grandi conclusioni estetiche e d’un desiderio di mettere insieme cose diverse ed opposte, che non sono poi del tutto diverse ed opposte, poiché il nostro tempo è un grande amalgama di bene e di male e di esperienze simili e dissimili. Possiamo farlo perché viviamo in un periodo culturale molto eclettico, dove il pittore ha accumulato molte altre esperienze, ed Atzeni, per esempio, è anche fotografo, si è occupato di teatro, ha fatto studi di architettura, ha lavorato come grafico pubblicitario, ha viaggiato per il mondo, ha visto moltissime cose, e tutto questo si vede e si sente nella sua pittura, ha un po’ l’animo del nomade, dell’esploratore, del ricercatore e dello sperimentatore estetico, un po’ è Gulliver ed un po’ è il Corsaro Nero. Forse per questo motivo fa perfino una pittura divertente, che non è mai pedante, che non annoia, che è nello stesso tempo, come abbiamo già detto all’inizio, ironica, lirica, ludica ed anche molto sapiente.
Articolo apparso sul sito dei municipi di Roma, come recensione alla mostra di Firenze
SOGNI IN MOVIMENTO
Presso l’Archivio di Stato di Firenze, in viale Giovine Italia, una mostra a cura di Tommaso Paloscia dedicata ad uno dei più interessanti pittori italiani contemporanei, Giampaolo Atzeni, un artista eclettico che si è occupato anche di fotografia, grafica, scenografia, le cui esperienze certamente si ritrovano nelle sue opere pittoriche, in uno ai vari ricordi dei suoi viaggi in terre lontane, mondi colorati ed intensi, spesso esotici.
Nelle sue tele, realizzate con la tecnica dell’acrilico, è impossibile disgiungere le varie esperienze artistiche di Giampaolo Atzeni, in quanto si tratta di opere spontanee ma al tempo stesso studiate nei minimi particolari, tele scenografiche in cui ritroviamo le simbologie dei suoi viaggi, insieme a colori solari che mettono allegria e ben predispongono l’animo.
E come potrebbe essere diversamente, trattandosi spesso di visioni legate a ricordi personali, scolpiti nella memoria dell’artista, che tuttavia assumono una valenza trans-personale e riescono ad incarnare, in qualche modo, le esperienze di che ammira le sue opere, sia che siano state vissute realmente o solo sognate.
Chi, ammirando ad esempio ‘Con tè nel deserto’, 2001, non ha l’impressione di sedere comodamente sul divano vuoto, e di conversare con la dolce fanciulla seduta sul divano di fronte, della quale è possibile vedere soltanto una coppia di belle gambe?
Gambe che sono spesso presenti, come in ‘Gambe per tè’, o in ‘Partenza’ ed in ‘Uno sguardo dal ponte’, sino ad arrivare alla figura intera di ‘Donna con valigie’ o ‘Sogno in movimento’, 2003.
Di qui a scoprire il sogno, il passo è breve, ed ecco allora ‘Marinaio’, ‘Sogno’, ‘Dall’oblò’, sino ad idealizzare la donna in strumenti musicali, nella lirica stessa, o nella classica ‘Sirena’.
Un artista allegro, estroverso, con alcuni elementi simbolo che campeggiano nelle sue opere: oltre alle gambe femminili, tazze, teiere, pesci, valigie… per trasformare un mondo reale che non si ferma mai appunto in sogni, in sogni in movimento.
Pregevole il catalogo edito da International Publishing per l’Archivio di Stato di Firenze, in edizione bilingue italiano/inglese, con una presentazione di Salvatore Italia, Direttore Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, saggi del curatore Tommaso Paloscia e di Spartaco Gamberini, oltre alla riproduzione delle opere in rassegna.
Manuela Mattei